martedì 9 settembre 2014

Il futuro che non c'è


“La paura
è la cosa di cui ho più paura”
(Michel De Montaigne).






In genere i bambini proiettano le loro ansie e le loro paure su un adulto a cui fare affidamento.

Gli adulti “più maturi” cercano di elaborare quanto sta accadendo.




Il prof della vita? Quello che fa riflettere e sognare

All'invito di Repubblica.it hanno risposto in tanti mescolando esperienze, memorie, nostalgie e anche rancori. Storie spesso bellissime, e ricordando gli insegnanti migliori alla fine prevale la speranza: un'altra scuola è possibile

Di Andrea Silenzi




L'Ocse fotografa la scuola italiana: risorse tagliate e ragazzi sfiduciati

ll report annuale evidenzia la carenza di investimenti, legata al calo di interesse dei giovani per il percorso dell'istruzione: "Scuola e università non sono viste come aiuto per trovare lavoro, ma come parte del problema"

di SALVO INTRAVAIA



Un patto sul futuro che non c'è

Gli esempi aiutano a focalizzare realtà complesse e problemi profondi. Eccone due che mettono a nudo il problema che attanaglia l'Italia: la difficoltà di intravedere un futuro. Su un quotidiano, una lettrice riferisce che un cittadino peruviano che presta servizio da lei e che vive in Italia da oltre 15 anni avrebbe deciso di mandare i suoi figli a studiare in Perù.

All'obiezione della donna che potrebbe mandarli a studiare in Italia la risposta è stata che questo è un Paese senza futuro. Alla stessa conclusione è pervenuto anche un affermato professore di Economia che insegna all'Università di Stanford, Luigi Pistaferri, uno tra i migliori talenti italiani all'estero, al quale l'Eief (l'istituto di ricerca dove lavoro) ha offerto una cattedra con un trattamento comparabile a quello che offre Stanford e un buon ambiente di lavoro.



sabato 6 settembre 2014

Repetite iuvant?


  "Ma in attesa di conoscere per esteso la "riforma Renzi", come sta la scuola italiana? Che effetto hanno avuto sul sistema le precedenti riforme? Ecco la nostra fotografia."

di Lidia Baratta da linkiesta.it del 3/09/2014: http://www.linkiesta.it/stato-della-scuola-italiana

giovedì 4 settembre 2014

Riforma della Scuola: sarà Decreto o rimarrà una proposta?

...ovviamente nessuno può saperlo, ma secondo me, una cosa è certa (e la condivido)

Riforma della scuola: esempio eloquente del degrado della democrazia


di Marina Boscaino | 3 settembre 2014 da il fattoquotidiano.it



Tg Cronache, la rubrica che – nel primo pomeriggio – segue il TgLa7, quello che – fino al governo Letta, ma soprattutto in epoca berlusconiana – ha rappresentato per alcuni un baluardo d’informazione più o meno credibile, ha dedicato un servizio all‘intervento del governo sulla scuola; annunciato dal premier, come si sa, non con il consueto cinguettio, ma con un video che presenta un documento online di 136 pagine. Elementi imprescindibili e consueti: il tono enfatico – “una rivoluzione”; e l’”ascolto”: due mesi di confronto («a voi chiedo di essere protagonisti e non spettatori», annunciando la campagna d’ascolto «scuola per scuola» dal 15 settembre al 15 novembre) e un anno per «una rivoluzione». 

mercoledì 3 settembre 2014

Pier Aldo Rovatti e i "benpensanti"


Posted on 3 settembre 2014 by  Scuola e Società

I benpensanti e l’eclissi del pensiero critico

di Pier Aldo Rovatti

La domanda che circola da qualche tempo nel mondo culturale potrebbe essere la seguente: stiamo tutti diventando dei “benpensanti”? Alla quale potrebbe accompagnarsi un interrogativo ancora più drastico: stiamo tutti trasformandoci in “tutori dell’ordine filosofico”?


Se fosse vero – ma di certo è verosimile o comunque ipotizzabile – potremmo concluderne che il pensiero critico sta declinando fin quasi a scomparire, nonostante ogni apparenza. Molto spesso il pensiero critico sembra oggi relegato in soffitta: il pensiero – si dice – ha da essere “positivo”, costruttivo, contribuire a una cultura di governo. Bisogna farla finita – si ripete spesso a voce alta – con un pensiero “negativo” solo capace di distruggere e di decostruire. È terminata l’epoca dei Derrida e anche dei Foucault, così come ormai sono state azzittite le grandi voci di Nietzsche e di Heidegger, loro mentori. Un’onda irreversibile starebbe finalmente cancellando decenni di rifiuto della ragione e dell’illuminismo, e di battaglie oscurantiste contro le sorti progressive dello spirito scientifico. Tutto sarebbe cominciato da quell’infausto ’68, di cui ora molti vorrebbero cancellare perfino la memoria.

Messo così, il quadro sembra esageratamente apocalittico, e soprattutto è un modo sbagliato di vedere le cose. Vanno introdotti dei distinguo e segnate delle differenze. Eppure la sostanza ideologica è più o meno proprio questa. Quando stigmatizzo l’entropia della filosofia come esercizio critico, so perfettamente che continuano a esistere non poche voci critiche che si oppongono al processo di omologazione e di amnesia o cercano di contrastarlo. Ma è difficile negare che la tendenza complessiva proceda in direzione opposta e che tale tendenza di pensiero omologante (che rappresenta l’interfaccia dell’omologazione sociale in cui stiamo vivendo) scalfisca ogni giorno di più, affievolisca e ammansisca quasi automaticamente l’efficacia del pensiero critico. Ne arrotondi le punte, perfino nei modi della discorsività e nelle parole stesse che vengono adoperate. Voglio dire, per esempio, che il richiamo alla vocazione socratica della filosofia e al filosofo come “disturbatore” di professione continua a farsi udire ma in maniera sempre più ovattata: diventa un richiamo esile, poco convinto, rivolto a orecchie in genere poco disposte all’ascolto. D’altronde, non si è sempre ripetuto che la filosofia non “serve” a nulla?

Per passare a esempi più circostanziati, certo che si continua a parlare di Derrida (a dieci anni dalla morte) o di Foucault (a trent’anni dalla scomparsa), ma come se ne parla? In forma di commento e di omaggio: Derrida è ormai un filosofo da album dei ricordi, Foucault – pur con maggiore fatica – diventa egli stesso un episodio del passato o si cerca comunque di neutralizzarlo nella galleria della storia del pensiero contemporaneo.

Cosa significa, dunque, “benpensanti”? Prelevo l’espressione dal felice titolo di un recente libro del sociologo e filosofo Alessandro Dal Lago (I benpensanti. Contro i tutori dell’ordine filosofico, il melangolo, Genova, pp. 220), libro che è passato finora quasi sotto silenzio e non per caso. Invito a leggerlo poiché è un testo di insolita schiettezza e di zero noia: in esso la polemica attuale (attorno al cosiddetto “nuovo realismo”) viene amplificata a tutta la vicenda del pensiero occidentale, dai greci e soprattutto dal Medioevo in su, in un curioso confronto di idee con un giovane ricercatore di formazione analitica. La schiettezza consiste nel racconto esplicito della coerenza di un intellettuale (attraverso Weber, Goffman, Bateson, Hannah Arendt, Foucault) che intende conservare e rilanciare la propria militanza di pensiero libero e di esploratore dell’orizzonte aperto delle interpretazioni. E che non nasconde di avere imparato simile libertà proprio dall’ormai famigerato ’68.

I benpensanti sarebbero allora tutti coloro che sono convinti di avere la verità in tasca e che trattano gli altri con sufficienza e supponenza filosofica. E si legittimano attribuendosi così il diritto di additare una politica culturale perbenista e oggettivamente autoritaria. Coloro che vorrebbero far diventare i “soggetti” degli esseri conformi e ubbidienti a una socializzazione artificiale dettata principalmente dal marketing delle idee, ormai diffuso ovunque. Pensiamo solo a cosa accade nell’educazione dei nostri figli e alla supponenza della pedagogia come sapere dominante.

I benpensanti sono proprio coloro che vogliono operare un taglio netto rispetto alla cultura del recente passato, che vorrebbero poterla “dimenticare” in toto, non esserne più infastiditi. Sono coloro che credono che la filosofia possa educare la gente nel momento stesso in cui loro stessi additano con disgusto la commistione tra saperi e poteri. Al contrario, il pensiero critico, ormai ridotto all’angolo, non ha mai creduto che il “filosofo” potesse o dovesse governare alcunché.
Si parla tanto oggi di etica e di programmi di comportamento. I benpensanti si danno da fare giorno e notte, intervengono sui gesti microfisici, danno consigli a chiunque e dovunque. Potremmo forse riuscire a farne a meno? Mi piacerebbe rispondere di sì. Ma la risposta realistica sembra purtroppo quella opposta.